Lei «era una bambina magra, delicata, tutt'ossa, come un tritone, con capelli che sembravano fili di fumo illuminati dal sole». E c'era la guerra. L'aviazione tedesca bombardava Londra e i centri industriali. Gli abitanti delle città si rifugiavano in campagna. Come la bambina e sua madre, che per un paradosso del destino in campagna, pur essendo sposata, «può avere una vita della mente». Il padre è via, nei cieli dell'Africa, forse. Sua madre, a cui piacciono le parole, le regala un libro, Asgard e gli dèi, la storia del Ragnarök, la fine senza resurrezione degli dèi norreni. Il libro diventa una compagnia essenziale, la bambina lo legge ogni sera in un tenue spiraglio di luce, ammira il coraggio di Odino, si compiace degli inganni di Loki, si gode le sue avventure subacquee in compagnia della portentosa serpentessa sua figlia. Di giorno riflette su quelle storie, a cui non crede, ma che tuttavia «le si attorcigliavano nel cervello come fumo, ronzando come api scure dentro un alveare». L'aiutano a tenere a bada un'inconscia disperazione. Ha paura, paura che il padre non torni, paura di veder sparire il mondo che conosce. Legge anche i miti greci e le fiabe dei Grimm e di Andersen, ma perfezione e fantasia non le offrono appigli per fronteggiare un senso di disastro imminente. Gli dèi norreni invece vanno incontro al disastro, e in questo le appaiono terribilmente umani, cosí limitati e stupidi. Sanno che verrà il Ragnarök, ma non sono capaci di creare un mondo migliore. Cavalcano nei cieli con un fragore di zoccoli che si confonde con il ronzio degli aerei durante i raid. È un paesaggio di lupi, caverne e acque turbolente, di spettri e bellicosi inganni. In stridente contrasto con l'idillico paesaggio della campagna inglese. Non c'è salvezza nel mito norreno, ma proprio questo aiuta la bambina magra a sopravvivere, anzi, a vivere un'infanzia di pensieri intensi e di precocissime memorie, che sedimentano giorno per giorno traducendosi in un archivio interiore al quale attingerà nel corso della vita. I pensieri e le visioni di cui A. S. Byatt da sempre dissemina i suoi romanzi trovano qui la loro unità, strutturandosi nella narrazione fluida e immaginifica di anni di caos. C'era la guerra - ma da allora ce n'è sempre stata una - e quel caos primordiale appare piú terapeutico di ogni credenza consolatoria.
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«Una lettura brillante, intelligentissima e altamente personale della mitologia norrena [...] Un magistrale arricchimento del mito originale».
Ursula K. Le Guin, «Literary Review»