A poco a poco mi torni come un vuoto. Insisti che non esisti, che sei me, che è in me che nuoto. Dentro il mio corpo, dici, come mai io nel tuo, ora che a ciascuno non si dà piú il suo.
La poesia di Ernesto Franco nasce intorno a un vuoto, prende forma dal sentimento di una mancanza, dalla percezione di incolmabili distanze: si è lontani da una città, da un amore, dagli altri, di fatto da se stessi. Purtroppo questa lontananza si è fatta radicale e definitiva per la scomparsa dell'autore nel settembre del 2024. La raccolta è stata messa insieme con sua grande cura durante la malattia e il titolo suona come una previsione, un saluto, un lascito. Ma nel libro non c'è traccia di cronaca, non c'è nulla del faticoso percorso che Ernesto ha dovuto affrontare negli ultimi mesi della sua vita. C'è invece Genova, la sua città da cui per tanti anni è stato lontano e dove ha voluto tornare nel momento estremo. Una città scomposta nella sua essenza, una lama affilata dal vento dove risuonano brandelli di conversazioni perdute. E ci sono le schermaglie amorose, l'ossidarsi dei ricordi, l'amarezza degli addii, che definiscono una cifra poetica consapevole di quanto lo scacco sia una condizione normale dell'esistenza ma anche un vuoto che accoglie, non una reale sconfitta. E infine una poesia piú lunga, l'unica davvero drammatica della raccolta: il monologo di una donna che sta morendo, che chiede aiuto, accusa, non capisce che cosa stia succedendo. Dopo aver dedicato il suo precedente libro di poesia alla seconda moglie Irene, è un omaggio alla prima, Fulvia, entrambe scomparse tragicamente giovani. Una chiusura di conti impossibili da chiudere, che diventa poesia potentissima. Quelli di Ernesto Franco sono versi che affiorano dal silenzio, non nascondono le ferite, affrontano spavaldamente l'insensatezza del nulla: «ma non è mancanza | tutto ciò che fa esistenza?»
Mauro Bersani