Non è la prima volta che l'Occidente guarda all'Oriente con la speranza di riceverne lumi: negli anni attorno al primo conflitto mondiale, per parlare solo del '900, il buddhismo fu oggetto dell'ingenua curiosità di molti, e dilagò nella cultura spicciola con l'impeto di una nuova fede. In ogni parte d'Europa e d'America sorsero, per lo studio del pensiero e delle religioni indo-cinesi, società che particolarmente da noi, privi com'eravamo in Italia di una solida tradizione orientalistica, si ridussero a svolgere un'opera di divulgazione spesso mistificatrice. All'origine di quella moda c'erano parecchie cause, tra cui la volontà di unificare il mondo, l'ansia di evasione e, per alcuni almeno, la tendenza a combattere il cattolicesimo con altre forme di spiritualità, diverse, ‟ma non tanto”, da quella cristiana. Negli ultimi quarant'anni l'Oriente si è affacciato di nuovo alla nostra cultura, questa volta con lo zen, un prodotto dell'incontro tra taoismo e buddhismo, una ‟via di liberazione” alla quale molti intellettuali d'America, e legioni di hippies, guardarono con troppo facile speranza. Cosa sia lo zen il lettore imparerà a sapere dal presente lavoro di Alan Watts: c'è però da augurarsi ch'egli non fermi la sua curiosità soltanto agli aspetti più scandalosi e appariscenti di una pratica che, per essere veramente intesa, va ricollocata entro gli schemi originali del pensiero cinese. La via dello Zen è stato pubblicato per la prima volta in ‟I fatti e le idee” nel 1960 e in ‟Universale Economica” nel 1971.