"Malina" si presenta come la storia di un abnorme triangolo amoroso e di un abnorme assassinio. Due vertici del triangolo sono qui, di fatto, la stessa persona: ciascuna è il Doppio dell’altra; quanto all’assassinio, non lascia nessuna traccia e avviene in circostanze che nessun romanzo poliziesco ammetterà mai. La scena è a Vienna, oggi: rapide deviazioni nel tempo e nello spazio ci mostrano le ultime reliquie della squisita Austria aristocratica o i foschi sfondi della Vienna del dopoguerra, dedita a un mercato nero generalizzato, alla pratica della «prostituzione universale». Della narratrice si sa, indirettamente, che scrive; l’uomo che è il suo Doppio, Malina, e che vive silenziosamente con lei, è anch’egli scrittore, ma, «per potersi mimetizzare», lavora al Museo dell’Esercito, il luogo che condensa la passata gloria dell’Impero; Ivan, l’altro uomo, è invece impiegato in un «istituto per affari di estrema necessità»: beffardo verso ogni pretesa intellettuale, è oggetto per la narratrice di una passione di là da ogni ragione, che non potrà mai essere ricambiata. La narrazione ci conduce, da una prima parte che sembra volerci raccontare l’amore felice fra la narratrice e Ivan, attraverso la seconda, che ci getta in una sequenza di sogni dominati dalla presenza ossessiva di un Padre – che, innanzitutto, è la misteriosa Potenza che uccide, che violenta ciò che esiste –, sino alla parte finale, dove assistiamo alla disintegrazione dell’io della narratrice, stretta in un confronto mortale col suo Doppio, Malina, la cui figura oscura e lucida si staglia sempre più netta in dialoghi estenuanti «sulle cose ultime». Composto come una partitura, leggibile sui più diversi piani, immediato e insieme carico di riferimenti nascosti, agilissimo e quasi temerario nel toccare anche l’attualità più intrattabile o la più proibita realtà dei sentimenti, scritto in uno stile capace di estendersi da una fluida liricità alla cruda registrazione dell’accadere, questo romanzo dell’ultima «nipote» di Hofmannsthal e di Musil riesce in ciò che molti hanno provato e che rare volte non è fallito: narrare una storia che ha la massima concretezza, dove tutto è controllabile come in una cronaca di fatti, facendola però coincidere con un delirio segreto, che appartiene a un’altra realtà, con una favola nera che nessun mondo visibile potrebbe ospitare. Finché da ultimo i due livelli sembrano saldarsi, e solo un impercettibile scarto è la spia di quella terribile compressione di eventi visibili e invisibili a cui il romanzo ci ha fatto assistere. Questo libro, che si era avviato quasi come un romanzo d’amore, si rivela alla fine innanzitutto come la dimostrazione di una morte – e apre un grande ciclo romanzesco, cui la Bachmann lavorò per molti anni e rimase incompiuto: "Cause di morte". "Malina" è apparso per la prima volta nel 1971.