Un vagabondaggio, un'allucinazione, uno scongiuro. Un 'requiem' che è congedo dai fantasmi di una donna, di un padre, di un amico, di un poeta, di una casa, di una città. In uno stato a metà tra la coscienza e l'incoscienza, tra l'esperienza del reale e la percezione del sogno, un uomo si trova a mezzogiorno, senza sapersi spiegare come, in una Lisbona deserta e torrida di un'ultima domenica di luglio. Sa di avere azioni da compiere - l'ultima soprattutto: l'incontro con un personaggio illustre e scomparso che forse, come tutti i fantasmi si presenterà solo a mezzanotte, ma non ha idea di come compierle. Si affida così al flusso del caso, secondo una logica che segue le libere associazioni dell'Inconscio. E si trova a compiere un percorso che lo porta a vivere il ricordo nell'attualità di quella giornata, a riandare ad alcune tappe fondamentali della sua vita, a cercare di sciogliere i nodi irrisolti all'origine del suo stato allucinatorio. L'alluzinazione, il viaggio, il sogno durano dodici ore, durante le quali si comprimono e si dilatano i tempi di una vita: passato e presente si mescolano per spiegarsi a vicenda, morti e vivi si incontrano negli stessi luoghi, i luoghi si fissano in un'immobilità che non ha niente a che fare col tempo. Con "Requiem" Antonio Tabucchi, nella forma inedita di diario di un'esperienza misteriosa e sapienziale, ha scritto un libro che è un omaggio al Portogallo: quasi alla memoria di un Paese che gli appartiene profondamente, e al quale profondamente appartiene. Al punto di averlo scritto in portoghese.